La Seconda Guerra Mondiale ha lasciato un’impronta indelebile nella storia di questa piccola città situata alle porte delle Alpi. Durante quegli anni bui, infatti, Cumiana divenne un centro vitale di attività partigiane e di resistenza contro l’occupazione nazista. Attraverso un susseguirsi di eventi drammatici, rastrellamenti e gesti di coraggio, i residenti di Cumiana dimostrarono una determinazione senza pari nel lottare per la libertà e la democrazia. In questo resoconto, esploreremo i principali avvenimenti storici che hanno plasmato il destino di Cumiana durante la Seconda Guerra Mondiale.
L’occupazione nazista e la resistenza emergente
L’8 settembre del 1943, con l’armistizio di Cassibile, l’Italia annuncia la sua resa agli Alleati, segnando l’inizio dell’occupazione nazista nel Paese. A decine, gli sbandati dell’ex regio esercito infatti percorrono i sentieri che scendono dalle alte valli per cercare rifugio, viveri e abiti borghesi. Il pericolo maggiore è la cattura da parte dei tedeschi, gli unici ad aver conservato lucidità in quel frangente, e che alla fine di quello stesso mese di settembre avranno trasferito in Germania ben 600 mila soldati italiani.
Cumiana, come molte altre città italiane, si trova sotto il controllo delle truppe tedesche, che impone un regime oppressivo e brutale sulla popolazione locale. Tuttavia, la resistenza contro l’occupazione nazista non tarda a emergere, alimentata dalla determinazione e dal patriottismo dei cittadini italiani.
Le attività partigiane tra boschi e montagne
Cumiana offre generosamente ospitalità e sostegno ai ragazzi impauriti e privi di riferimenti precisi . Le colline e le montagne circostanti forniscono un rifugio naturale per i partigiani che cercano di sfuggire alla persecuzione nazista. In questo modo il paese sancisce così la propria adesione alla Resistenza che cresce nelle settimane a venire, sotto la guida di un tenente della Julia, anch’egli sfuggito alla cattura, Silvio Geuna. La sua formazione, di ispirazione moderata e cattolica, nasce dall’apporto di numerosi ragazzi che non intendono presentarsi ai bandi di arruolamento. Sono i famigerati decreti che nel frattempo la repubblica di Salò, salita al potere, ha lanciato, con minacce di morte per i renitenti. Paradossalmente non fanno che aumentare il numero di chi intende sottrarvisi.
Salgono all’Arp du Capitani, sede della banda, i figli della buona borghesia torinese – con cui Geuna ha solidi contatti -, i ventenni di Cumiana, oppure i contadini delle aree vicine. L’attività della “Cattolica” – oltre cento uomini – non è rilevante sotto il profilo militare, e l’8 marzo 1944 subisce un grave scacco a None dove tre suoi partigiani perdono la vita e altri due sono catturati durante un attacco al presidio locale della “Todt”. Lo è invece sotto il profilo morale: tant’è che la sua fama durerà ancora, per tutto il tempo di guerra e anche oltre allorquando svariati suoi componenti, nel frattempo passati ad altre formazioni, moriranno a Cumiana e altrove per mano nazifascista in drammatiche circostanze.
I boschi di Cumiana sono infatti teatro di audaci azioni di guerriglia condotte dai partigiani italiani: sabotano le comunicazioni nemiche, raccolgono informazioni cruciali e organizzano attacchi contro le truppe tedesche. Queste attività, oltre a ostacolare gli sforzi bellici dell’occupante, servono anche a ispirare la popolazione locale e a mantenere viva la fiamma della resistenza.
Dall’inverno del ’43/’44 alle stragi di aprile
Nella realtà di quelle settimane – siamo appunto alla fine dell’inverno 1943/44 – il controllo del territorio è tutto a vantaggio dei patrioti: la Verna, la Moncalarda, i Morelli, piccole borgate appese alla displuviale Cumiana-Giaveno, sono presidi attivi delle formazioni che hanno i comandi un po’ più in su, in alta Val Sangone e non temono di mostrarsi in paese.
Gli abitanti di Cumiana, nonostante il rischio di rappresaglie brutali da parte dei nazisti, si uniscono alla lotta per la resistenza, offrendo sostegno logistico, nascondendo i partigiani e partecipando attivamente alle azioni di sabotaggio.
La situazione cambia improvvisamente però quando fa la sua comparsa un battaglione di Ss italiane sotto il controllo di istruttori tedeschi che fissa il comando alle Cascine nuove, nelle campagne verso Piscina. La scuola agraria missionaria viene requisita e ben cinquecento militi armati vengono utilizzati per fronteggiare il fenomeno ribellistico nel settore pinerolese, che ha ormai assunto proporzioni preoccupanti per le autorità fasciste. Sono i giorni della strage del 3 aprile. Dopo uno scontro a fuoco nel centro del paese e la cattura di oltre trenta Ss (1° aprile), i nazifascisti rispondono con una crudele rappresaglia che costa 51 caduti alla popolazione e decine di case bruciate. Lo sgomento e il dolore calano su Cumiana e solo dopo trattative tra il comandante partigiano Giulio Nicoletta ed il generale tedesco Peter Hansen viene scongiurata la fucilazione di altri cento cumianesi trattenuti alla Cascine Nuove.
L’estate del 1944
L’estate trascorre tra mille pericoli e con nuove successive tragiche notizie: due fratelli vengono impiccati sotto le finestre del municipio (22 luglio); si susseguono mitragliamenti aerei e incursioni nazifasciste. Nel settembre Cumiana passa sotto la zona d’operazione dei partigiani comandati da Maggiorino Marcellin e Ettore Serafino (gli Autonomi della Val Chisone) e assume un valore strategico ancor più importante nelle comunicazioni fra i comandi della città e gli uomini che combattono in montagna.
Entra in campo anche un agente del Soe, il servizio inglese, Pat ‘Regan, che ha l’incarico di tenere i contatti con i partigiani italiani a ovest di Torino. Ha con sé una radio ricetrasmittente che utilizza per parlare con i superiori e trova sistemazione presso le contesse della Costa, Giuseppina e Cristina Provana di Collegno, monarchiche ma sincere antifasciste, che inforcano le biciclette e recapitano messaggi destinati alle varie formazioni o al CLN torinese. Sono le settimane in cui la strategia dei patrioti non consiste più nel presidiare il territorio, ma piuttosto compiere rapide puntate nelle zone dove il nemico si sente più sicuro. A settembre il gruppo di Fausto Gavazzeni scende dalla Verna: e nella caserma della polizia ausiliaria in via Pesaro a Torino (quartiere Aurora) immobilizza gli uomini, e s’impadronisce, senza sparare un colpo, di armi e munizioni.
A ottobre Gianni Daghero e i suoi sabotatori fanno saltare ripetutamente la linea ferroviaria Pinerolo-Torino utilizzata quasi esclusivamente dalla Wehrmacht. Ma vengono anche i giorni dell’angoscia: gli stessi Gavazzeni e Daghero sono messi fuori gioco dalla reazione dei nazifascisti: il primo è catturato ai primi di dicembre e inviato a Mauthausen dove morirà nel marzo 1945; il secondo viene eliminato nel cortile della cascina Richetta ai Maritani insieme ai suoi due compagni (30 dicembre 1944).
Verso la liberazione
Ma la strategia e la condotta della lotta non cambiano. Da Cumiana passano le comunicazioni più rilevanti proprio mentre al castello della Costa viene posto un nucleo di radiotelegrafisti austriaci: è la manna per il capitano inglese Pat che mette le mani sui movimenti delle truppe nazifasciste in Piemonte e Liguria. Non vi saranno altri episodi luttuosi nel corso della primavera 1945. L’ordine dei comandi partigiani è di dare la sensazione che Cumiana sia sgombra di “ribelli”. Il paese conosce però una fiammata di violenza allorché sulla statale vicino a Tavernette cadono i due partigiani Nino Torretta e Sergio Ferrero (26 aprile). Per la liberazione occorrerà ancora attendere tre giorni e, finalmente, la domenica del 29 aprile, saliranno in municipio gli uomini del CLN locale.
Il 3 maggio, l’ultimo atto, spaventoso agli occhi degli osservatori odierni, ma “giustificato” nei giorni violenti della resa dei conti: l’ex podestà fascista di Cumiana, Giuseppe Durando, viene linciato in piazza e finito a colpi di mitra nei prati vicini al cimitero. Estremo prezzo pagato alla violenza che il fascismo aveva scatenato con l’entrata in guerra del 1940.